Mi c’è voluto un bel po’ per partorire questi pensieri, riflessioni e sensazioni vissute sul posto ma che avevano bisogno di essere digerite. Perché certe cose sono talmente grandi ed ingombranti che non trovano posto per distendersi nell’immediato ma nascono già aggrovigliate per la mancanza di spazio. Sciogliere quei nodi, quei fili che si intrecciano e scendono velocemente dalla testa alla pancia quasi come fossero prodotti proprio lì, nel ventre e non nella mente, richiede tempo.
Sarà anche che non mi sono mai fermata veramente dal ritorno di quel viaggio, troppo impegnata a prenotare altri biglietti, godermi l’amore sapendo che presto avrei dovuto lasciarlo per qualche mese, prenotare altri biglietti, a volte cancellarli pure e vivere all’estero.
Ogni volta che mi fermo a pensare a quello che sono stati quei quasi 3 mesi di viaggio vedo davanti ai miei occhi Machu Picchu, la Rainbow Mountain, i salares della Bolivia, il deserto di Atacama.
Ma quello che rimane nel cuore, quello che rimane per sempre ed è difficile spiegare a parole è quello che è intangibile ed astratto.
Come glielo faccio a spiegare a qualcuno cosa significa incrociare lo sguardo di una signora che dimostra vent’anni di più e che piegata dal peso della merce che porta in spalla, perché ancora costretta a lavorare, trova la voglia di sorriderti?
Come la spieghi quella fratellanza e quell’unione che si creano chiacchierando per un’ora con un ex minatore di una delle cave più famose al mondo?
Come spieghi il senso di tenerezza e di impotenza davanti ad un bimbo di circa 4 anni che nel mezzo della notte, in un minuscolo villaggio sperduto in Bolivia, esce dalla porta di casa, fa i suoi bisogni sul marciapiede e rientra dentro stropicciandosi gli occhi e sbadigliando?
Come si può spiegare il senso di comunione che dopo un pomeriggio ti fa sentire parte di una famiglia che ha perso un padre, un nonno, un esempio di moralità, a causa della dittatura di Pinochet?
Come si può spiegare il senso di stupore ma anche di sana invidia nel vedere i bambini del paese correre liberi fin da piccoli senza genitori, con i vestiti sporchi e le ginocchia sbucciate, giocare a nascondino nelle strade e nei cortili che ormai son di tutti?
Il sud America che si racconta e che spesso si conosce è quello del Machu Picchu, delle signore con le gonne larghe e le lunghe trecce, la terra degli Inca, del maestoso Lago Titicaca, delle tradizioni forti. Ma questi paesi sono anche tanto altro. È tutto ciò che scorre davanti ai nostri occhi nelle interminabili ore di viaggio tra una città e l’altra, è tutto ciò che si trova fuori dalle vie del centro.
È il traffico senza regole e l’inquinamento acustico, le case che sembrano ancora in costruzione e che invece rimangono così, a metà, per sempre; i vetri appuntiti o il filo spinato sopra i muri che cingono le case, i cancelli che fuori dal centro chiudono le cuadras alle 22 con tanto di signore di guardia tutta la notte; è la sterminata, polverosa e povera periferia che si estende al di fuori delle grandi città e che sembra quasi impossibile che qualcuno possa abitarla; sono i cani tutti sporchi che si aggirano per le vie, un po’ di tutti e un po’ di nessuno; sono le bambine che invece di stare a scuola trovi a vendere dolciumi e gelatine agli incroci più trafficati; sono le vecchine che sulla strada, sedute a terra, cercano di vendere qualcosa, qualsiasi cosa.
Il sud America è tutto ciò che trovi tra un luogo da cartolina e l’altro.
Vivo con la testa fra le nuvole, l’ho sempre detto, ma viaggiare, quello, lo faccio con i piedi decisamente piantati in terra. La Terra. E come la senti, la Terra, quando fai certi viaggi, la senti tutta, che si muove sotto di te, che ti aiuta con il suo movimento a compiere ogni piccolo passo che ci ha portato sempre più a sud.
E percepisci i passi che sono stati prima di te su queste strade così malmesse, mai veramente completate ma non per questo risparmiate, calpestate allo sfinimento da orde di uomini, cavalli e auto, in queste terre dalla storia millenaria…che col cavolo che sono state scoperte nel 1492! Qui si percepiscono ancora le leggende, le figure quasi mitologiche, le tradizioni, gli usi e costumi così peculiari che la gente locale tenta di tenere aggrappati a sé con tutta la loro forza nonostante da 500 anni, in maniera palese o subdola che sia, qualcuno cerchi di portarglieli via o di esasperarli ad uso e consumo del turismo.
Una guida non ti prepara abbastanza per questo tipo di viaggio e delle semplici foto ricordo non saranno abbastanza per raccontarlo.
Un viaggio così o lo vivi, o non lo sai.
[…] in loco e sulla possibilità di viaggiare per più giorni. Nell’autunno del 2017 siamo stati tre mesi in Sud America, per il budget a nostra disposizione non avremmo potuto certo stare tre mesi in Scandinavia. O […]
Bellissimo articolo! e quante emozioni in questo viaggio di tre mesi.. complimenti. Si sente che ti è rimasto nel cuore.
Grazie mille! Eh si, era inevitabile 🙂