Probabilmente non tutti sapranno che la Bosnia Erzegovina è in realtà divisa in due stati: la Federazione di Bosnia Erzegovina con capitale Sarajevo, a maggioranza musulmana, e la Repubblica Serba di Bosnia (Republika Srpska), a maggioranza serba, con capitale Banja Luka.
Dopo la caduta della Jugoslavia, Banja Luka divenne il centro economico della comunità serba di Bosnia che durante la guerra cacciò da qui musulmani, cattolici ed altre minoranze che fino a quel giorno avevano vissuto lì.
La multiculturalità è stata spazzata via non solo in termini di popolazione, ma anche in termini di simboli e tutto ciò che ricordava le minoranze.
A Banja Luka vennero distrutte tutte e 16 le moschee, tra le quali la Moschea Ferhadija del 1583, una delle più belle di tutti Balcani, al posto della quale sorse un parcheggio.
Oggi Banja Luka si presenta completamente diversa da com’era prima della guerra, la popolazione serba è in schiacciante maggioranza e la minoranza musulmana, nonostante i lenti cambiamenti, non è ancora pienamente reintegrata e persiste una malcelata discriminazione.
Banja Luka è stata probabilmente la tappa meno turistica di tutto il viaggio nei Balcani; i turisti erano quasi inesistenti.
Nonostante non sia particolarmente conosciuta come meta, Banja Luka ha sicuramente qualcosa da offrire e da vedere. C’è un imponente fortezza sulle sponde del Vrbas, una scintillante chiesa ortodossa in pieno centro (la Hram Hrista Spasitelja), un museo di arte contemporanea e un museo della Repubblica.
Una visita a Banja Luka ci ha permesso di toccare con mano una faccia diversa della Bosnia che fino a quel momento avevamo conosciuto.
Qui abbiamo respirato un’atmosfera differente, a tratti mi sembrava di aver inavvertitamente sconfinato e di essermi ritrovata in un paese totalmente nuovo, quasi sovietico e più rigido; qui la tipica architettura dei regimi socialisti fa da padrona.
Ho trovato le persone un po’ più seriose, sfuggenti e sospettose. Meno sorrisi e più fretta.
Banja Luka: un incontro che vale il viaggio
Ma come spesso accade, sono proprie le persone a fare i viaggi e qui ho potuto constatarlo più che mai. Questa giornata, per noi, l’ha fatta Mirsad e quella mezz’ora trascorsa con lui all’interno della Moschea Ferhadija ricostruita da poco.
Arrivati di fronte alla Moschea, che con l’aiuto dell’UNESCO è stata ricostruita e riaperta nel 2016, la mia attenzione è stata subito attirata da un signore anziano del posto che intratteneva, conversando in inglese, un turista.
Mi sono avvicinata quel tanto che bastava per capire che stavano appunto parlando della moschea e della città. Quando si sono salutati e il turista ha ripreso la sua strada, il signore anziano si rivolge a me e Gianni chiedendoci la nostra provenienza e se volevamo visitare la moschea insieme a lui.
Una volta indossato il velo, scelto tra i tanti messi a disposizione in una scatola all’entrata, varchiamo la soglia della moschea insieme al signore che inizia a raccontarci delle vicende di questo luogo di culto così importante per la comunità.
Dalla sua antica fondazione ad opera del pascià Ferhad Sokolović alle caratteristiche architettoniche e funzionali tipiche di ogni moschea.
Mentre ci parlava io non potevo fare a meno di domandarmi quale fosse il ruolo di questo signore: era una sorta di guardiano/portiere del luogo? Vista la sua gentilezza e disponibilità gli chiedo come mai ci stesse facendo da guida e il suo nome.
Mirsad, così si chiama, è un semplice fedele di Banja Luka che si trovava alla moschea per l’ora della preghiera e che ha piacere a condividere e far conoscere la storia e le vicissitudini di uno dei suoi luoghi del cuore. Quel posto dove si sente come a casa, forse di più, circondato da amici, fedeli come lui con i quali ha così tanto in comune, avvolto da un’atmosfera serena, silenziosa e tranquilla dove può semplicemente essere se stesso, pregare, leggere, pensare.
Perché la moschea per i musulmani è ancora oggi molto di più che un semplice luogo di preghiera, e anche qui lo si capisce benissimo subito. La moschea è un luogo di forte aggregazione e unità, un luogo dove sentirsi meno soli, dove trovare degli amici sempre pronti a tenderti la mano in nome della solidarietà e della carità umana.
Mirsad è sorridente, dolce, calmo, con una voce soave che ci culla in un inglese quasi perfetto.
Sono incuriosita da questa persona e allora gli chiedo se lui sia proprio del posto e se abbia vissuto sempre lì. Mi immaginavo che magari l’inglese lo avesse imparato vivendo all’estero.
Ed è proprio quando gli chiedo delle sue origini che Mirsad mi spiazza un po’: “Sono di Banja Luka e ho sempre vissuto qui. Anche durante la guerra. In quel periodo sono stato 18 mesi in un campo di concentramento”.
Ecco, in quel momento nella mia mente sono passate tante immagini e avrei voluto chiedere di più, approfondire, ma forse il pudore e la paura di fare del male scoperchiando certi ricordi mi ha impedito di chiedere chissà cosa.
Ho solo domandato qualcosa del tipo: “Come funzionava? Vi facevano lavorare?”. Mirsad ci dice che non si trattava di campi di lavoro, che i detenuti non avevano niente da fare e che se ne stavano quasi sempre bendati ed inginocchiati.
Senza scrollarsi di dosso neanche per un attimo quel suo sorriso così dolce, Mirsad ci dice che date le circostanze si ritiene addirittura fortunato: “Io ci sono stato solo 18 mesi. Tanti altri ci sono rimasti per molto più tempo e altri ancora non ne sono usciti vivi”.
Come spesso succede di fronte a cose più grandi di noi, di fronte al dolore, di fronte a ciò che non possiamo e non riusciamo a capire abbozzo un sorriso, distolgo lo sguardo e mi immergo nelle preghiere degli altri chiedendo se posso scattare qualche foto.
Tornati ad incrociare lo sguardo di Mirsad, che nel frattempo si era dedicato a salutare gli amici e compagni di preghiera, gli chiediamo come sia oggi la situazione per i musulmani a Banja Luka e nella Repubblica Serba di Bosnia.
Mirsad per la prima volta si fa più cupo e meno positivo di come lo abbiamo visto finora e laconicamente dice: “non c’è giustizia”.
Durante le passeggiate quotidiane in città oggi Mirsad potrebbe incrociare lo sguardo di chi lo ha tenuto prigioniero, di chi lo bendava, minacciava e affamava. Vittime e carnefici sono vicini di casa.
No, giustizia non c’è stata.
Le tante attività e proprietà della città che un tempo appartenevano ai musulmani sono state confiscate negli anni di guerra dai serbi e la situazione è rimasta così anche dopo la fine del conflitto; ogni tanto qualche vecchio proprietario prova a rivendicare i propri diritti intentando una causa ma “stranamente”, dice Mirsad, i musulmani non vincono mai: “i giudici sono corrotti o sono colpevoli loro stessi di qualche crimine in tempo di guerra”.
Si fa finta di niente, di certe cose non si deve parlare e non ci si deve ricordare, certi atroci crimini non sono avvenuti davvero; i monumenti commemorativi, nella Repubblica Serba, sono solo per i serbi caduti e non per le vittime musulmane di un genocidio premeditato, la memoria non è un valore e fa paura. Negazionismo e storie a senso unico.
Assordante silenzio.
Parlare del passato è una perdita di tempo.
Eppure i campi di concentramento sono ancora lì, in periferia, spesso inaccessibili e Mirsad e i suoi fratelli musulmani possono ancora vederli dal finestrino dell’auto.
Pieni di fantasmi, di sangue, di odore di morte che per sempre ha impregnato le pareti, di grida strozzate perse nel buio della notte e dell’oblio.
O forse no, non sono lì. Forse, quei campi di concentramento non ci sono mai stati.
[…] giorno: Mostar 7° giorno: Sarajevo 8° giorno: Sarajevo 9° giorno: Travnik e Jajce 10° giorno: Banja Luka (uscita dalla Bosnia e arrivo in Croazia in tarda serata) 11° giorno: Zagabria 12° giorno: Laghi […]
[…] Banja Luka […]
Sono sempre più attratta dai Balcani in generali e dai luoghi che ho scoperto seguendoti lungo questo tuo viaggio. Mi ricordo quando avevi parlato di Mirsad, ed è bellissimo vedere come una persona riesca a raccontare cose così atroci non perdendo comunque il sorriso o almeno la speranza. Certo, però, che mi resta la curiosità di sapere come abbia imparato quell’inglese perfetto!! 🙂
Si, il fatto che non abbia mai perso il suo sorriso mi ha fatto veramente strano e anche il suo modo dolce di parlare. Forse è anche un modo per andare avanti: accettare e provare a dimenticare.
Purtroppo è vero, in Bosnia non c’è stata giustizia. I processi sono stati quasi una farsa e alcuni carnefici sono ancora a piede libero. Da brividi questa vicende, anch’io viaggiando per i Balcani ho ascoltato delle storie davvero raccapriccianti. E pensare che è successo tutto pochissimi decenni fa e praticamente dietro casa per noi italiani.
Esatto, in piena Europa poco più di 20 anni fa. Purtroppo è una situazione comune a molti altri conflitti e dittature. Anche in Cile ho avuto modo di ascoltare storie molto tristi 🙁
E pensare che lo stesso sia successo dopo il 1945 in Italia: nessun criminale fascista è stato processato, anzi hanno ricevuto onorificenze dal nuovo Stato democratico…
e neanche nessun liberatore jugoslavo infoibatore è stato processato, anzi magari è un eroe della Jugoslavia
molto interessante il tuo articolo! in effetti è bello quando riesci anche capire un po la religione dei luoghi.
Si, è sempre bello conoscere le persone del luogo e cercare di capire qualcosa in più
Brava Sara, in questo tuo racconto di viaggio hai sollevato il velo di uno dei tanti drammi storici del continente europeo. Uno dei peggiori, perché come dici ha contrapposto in una guerra civile vicini di casa e anche membri di una stessa famiglia.
Ho dato solo un’idea a chi magari dell’argomento non conosce proprio niente. Mi piace sempre condividere storie ed esperienze personali che per me sono la vera essenza di ogni viaggio.
Mi hai fatto tornare in mente il mio viaggio in Bosnia, che risale ormai a qualche anno fa. Anche io e mio marito abbiamo avuto la fortuna di incontrare una persona che ci ha voluto parlare di sé e della sua storia. Il signore nel nostro caso si chiamava Goran e ci ha raccontato di come ha dovuto scappare, con la sua famiglia, da quella che era la sua casa, per arrivare in Italia e quindi in Svizzera dove ha ottenuto lo stato di rifugiato. A volte sono proprio gli incontri a fare il viaggio!
Ecco, puoi capire bene allora il tipo di viaggio. I più bei ricordi e il modo migliore di imparare e di vivere un viaggio e un paese è proprio quello di conoscere persone del luogo e le loro storie…
Grazie Sara per aver condiviso questa storia così toccante, così dura e reale.
Voglio andare a Banja Luka da un po’ di tempo e spero con il cuore di incontrare Mirsad davanti a quella Moschea.
Sicuramente troverai qualcuno ad accoglierti, li ho trovati tutti molto cordiali e aperti 🙂